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LA VERITÀ DEL CAMBIAMENTO

Capita spesso di sentire alcuni detrattori del mondo quantistico affermare con vigore quanto sia impossibile l’applicazione delle evidenze scientifiche della meccanica quantistica alla vita quotidiana. Tali denigratori sostengono che le leggi dell’infinitamente piccolo non si possono applicare ai macrosistemi. Gli stessi evitano accuratamente di fare il minimo riferimento alle leggi che governano il cosmo, ovvero l’infinitamente grande; per il quale valgono indubbiamente gli stessi principi di inapplicabilità. Quest’ultima estensione metterebbe pertanto in risalto quando fragili, incerte e poco stabili possano essere le leggi che governano il nostro mondo.


Tali tradizionalisti edificano le loro tesi sulle sicurezze del passato e non sono disposti ad accogliere teorie che potrebbero in qualche modo minare le loro certezze. Per questo motivo sono impegnati a mantenere questa scissione permanentemente. In fondo tutto funziona anche se con leggi diverse, l’importante è il risultato che si ottiene. Certo non possiamo negare l’impulso e il potente contributo che la fisica deterministica ha dato alla nostra evoluzione. Per quale motivo, adesso, dovremmo ingengnarci nel trovare delle leggi valide e universali che ci permetterebbero di governare concordemente sia il microcosmo sia il macrocosmo?


La prima risposta che potremmo dare, anche se di carattere generale e sicuramente molto arcaizzante è l’adagio degli antichi romani:”Dīvĭdĕ et ĭmpĕrā”. Secondo questa locuzione latina, il migliore espediente di un'autorità qualsiasi per controllare e governare un popolo è dividerlo, provocando rivalità e fomentando discordie. Allo stesso modo, per impedire qualunque forma di cambiamento nel mondo della scienza, il modo migliore è quello di generare confusione tenendo separati e, spesso in contrapposizione tra di loro, i saperi.


In pratica ogni disciplina scientifica trova la propria funzionalità e applicabilità in se stessa, cercando di autodefinirsi in maniera solipsistica, senza invadere i fondamenti di altre dottrine. L’interdisciplinarietà, tanto di moda nella contemporaneità, avviene gradatamente facendo molta attenzione al mantenimento delle disuguaglianze e, spesso, serbando implicitamente livelli gerarchici, offuscati da ipocrite umiltà.


I denigratori della divulgazione che la luminosità della fisica quantistica possa apportare non solo al mondo della scienza, ma soprattutto allo scibile contemporaneo un importante cambiamento, agiscono sostanzialmente per paura del cambiamento. L’angoscia di perdere la loro identità, causata dell’inevitabilmente modificazione delle evidenze scientifiche, comporta una perdita di conformità, di abitudine, di sicurezza e forse di verità. Contrastare il cambiamento significa contrastare il principio stesso della vita, poiché la vita è continua metamorfosi, non solo le nostre cellule si rinnovano continuamente, ma il mondo stesso che abbiamo di fronte è in perenne trasformazione. Negare il cambiamento significa negare la nostra essenza, la nostra natura e le leggi dell’Universo stesso.

Un vero scienziato è pienamente consapevole che la verità assoluta non esiste: essa infatti è un processo permanente di auto definizione. Egli può solo contribuire a modificare temporaneamente la manifestazione del disegno che ogni volta si manifesta come realtà.



Un vero scienziato ha presente l’enorme differenza che c’è tra verità e autenticità. La verità rappresenta la strada da percorre, ovvero la sua direzione; invece, l’autenticità raffigura il mezzo con cui perseguire il proprio obiettivo. Detto altrimenti non è tanto importante la direzione che diamo alla nostre intenzioni quanto la modalità con cui esprimiamo i nostri propositi.


Quando siamo connessi con il nostro cuore, il “modo” e il “senso” della nostra ricerca non possono necessariamente far altro che coincidere. La verità a questo punto non può che convergere con la ricerca dell’origine, il principio primo che da ordine a tutte le cose. Tale principio non può assolutamente trascendere dal cambiamento o, come sostenevano i Monaci Zen dall’“impermanenza”.


Impermanenza significa che tutti i fenomeni (cose, esseri, sensazioni, emozioni, pensieri, situazioni) sono manifestazioni di breve durata, bagliori effimeri che durano soltanto un istante per essere seguiti da un’altra esistenza nel momento consecutivo. In fisica, questo concetto di mutamento è espresso come entropia. Secondo l'interpretazione data dalla meccanica statistica, questa è una funzione crescente della probabilità di un sistema isolato, il quale può evolvere spontaneamente verso configurazioni a entropia maggiore. Tale cambiamento coincide con un più alto grado di disordine. Di conseguenza, qualunque fenomeno che abbia una causa deve finire, poiché contiene in se stesso l’implicita necessità della dissoluzione, intesa come aumento di entropia.


Nel mondo non esiste né permanenza né identità, allo stesso modo non vi è nulla di stabile, di duraturo e di permanente. Tutto cambia d’istante in istante, come il corso di una cascata, la quale ci appare sempre uguale, anche se sappiamo perfettamente che è in continuo mutamento. L’acqua, così come la vita stessa, si rinnovavano incessantemente e la loro instabilità non è altro che una nostra illusione consapevole. L’individuo è solo una combinazione transitoria di forze psico-fisiche in continuo divenire. Comprendere l’impermanenza ci induce ad accettare il presente, il “qui ed ora”, senza dar spazio a proiezioni future e senza rimanere ancorati sui ricordi del passato. Vivere il momento presente significa accettare il flusso del cambiamento e la consacrazione della vita.


Sicuramente con le ricerche portati avanti dal nostro istituto non pretendiamo che il tentativo di utilizzare le stupefacenti intuizioni della fisica dei quanti dia, sin da subito, risultati garantiti. Tuttavia siamo sempre aperti al dialogo, al confronto, alla sperimentazione, al ripensamento e al cambiamento. Rimaniamo consapevoli che le certezze si raggiungono con tenacia e perseveranza, ma siamo altrettanto pronti a lasciare andare ogni evidenza raggiunta per dare spazio al nuovo. Siamo pronti ad accettare che altri ricercatori, con i cauti tentativi, potranno affermare nuove leggi, altre regole e inediti risalti.


D'altronde, come era solito dire Thomas Alva Edison, «la creatività è per l' 1% intuizione e per il 99% traspirazione», intesa come sudorazione sforzo. Ovviamente, la lampadina non si accese in un baleno. Prima di trovare un buon filamento per la sua invenzione, Edison ne provò 1.600 diversi; tutti bruciarono in pochi minuti. Nonostante questi “insuccessi”, Edison non si scoraggiò mai: «Non ho fallito, ho solo trovato 1.600 soluzioni che non funzionano». Grazie a una fibra di bambù carbonizzata, la numero 1.601 fu quella buona: il 21 marzo 1879 “luce fu”.

Se lui si fosse fermato davanti ai suoi detrattori, i quali gli enunciavano continuamente di smettere di provare e riprovare, oggi saremmo ancora al buio. Il duro lavoro e la lungimiranza lo avevano ripagato. Edison, infatti, riuscì a illuminare il mondo con le sue lampadine a incandescenza.


La BioQuantica non pretende di portare nel mondo chissà quali alte rivelazioni e, per fortuna, non siamo i soli a perseguire questa strada. Il nostro è solo un umile tentativo di conciliazione tra saperi che per molto tempo sono rimasti isolati nelle rispettive roccaforti. Il nostro è una passione, un impegno ad aprire un dialogo tra lo studio della vita in tutte le sue forme e le possibili applicazioni delle scienze di frontiera, le quali stanno portando una rivoluzione nel vecchio modo di pensare.


Il Presidente I.B.A.

Dott. Valerio Sgalambro

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